MARVELIT presenta

IL PUNITORE

Episodio 14 – Un buon piatto freddo

Di Valerio Pastore (victorsalisgrave@yhoo.it)

 

 

New Orleans, Missouri

 

Avete presente Kathrina, vero? Una gran puttana, non la peggiore della sua categoria, che con la complicità di ingegneri edili che dovrebbero finire a Guantanamo, ha affogato mezza città in un batter d’occhio. Tante case distrutte, tanti, troppi morti.

A qualcuno all’FBI è venuto in mente di spulciare nell’anagrafica dei residenti deceduti, filtrare quelli che non avevano eredi, e comprare per il classico tozzo di pan muffo le case rimaste ragionevolmente in piedi. La maggiore spesa sarebbe consistita nell’installazione dei più moderni mezzi di sorveglianza, in modo da trasformare la casa nell’occhio del Grande Fratello.

E poi dicono che il cinico sono io.

Posso capire le loro ragioni: normalmente, i sorvegliati del ‘programma protezione testimoni’ hanno una vita breve. I loro piazzamenti sono prevedibili, e quando si riesce ad azzeccare una locazione, non si hanno mai abbastanza orecchie ed occhi per star loro dietro, per sapere di cosa parlano dentro e fuori casa.

Oh, sì. Meglio precisare: i testimoni si dividono in due categorie, i bravi cittadini e i criminali. I primi non danno problemi, adorano stare in casa, giocano a poker con gli agenti, flirtano con loro. Sono i figli adolescenti a rovinare tutto, di solito; per questo sono un convinto sostenitore del Ritalin a scuola.

I criminali sono un’altra cosa: sono mine vaganti, e quando scoppiano lo fanno in una sola direzione, quella dei rivali che vogliono colpire, o che colpiscono per procura, per conto di un’organizzazione rivale. Più grosso è il caso, più difficilmente vanno in prigione: a loro va una bella medaglia, un bel riciclaggio della fedina e una nuova vita. Naturalmente, è un gioco da ragazzi per loro aspettare qualche anno prima di mettere su la loro impresa tutt’altro che pulita. Qualche volta, esagerano e i loro simili preparano loro un bel funerale corredato con ogni optional di lusso, proiettili inclusi.

Qualche volta intervengo io.

Per la cronaca, mi chiamo Frank Castle, ma ormai i soli a usare quel nome sono quelli dell’anagrafe e i tutori della legge. La gente e i giornalisti mi chiamano col nome più appropriato: Il Punitore. Le mie prede mi chiamano con nomi meno educati.

Sono giunto a New Orleans per fare quello che ai Federali manca il coraggio di fare: buttare la spazzatura.

I recenti problemi climatici mi hanno dato una mano. ‘Chip mi ha rubato l’identità da uno dei tanti barboni di New Orleans, e ho potuto mescolarmi al flusso di gente tornata dall’evacuazione. Grazie tante, sindaco Naggins!

Ed eccomi qui, a spingere un carrello della spesa pieno di ammaccature lungo una strada secondaria scarsamente trafficata. Travestimento semplice, verniciatura sugli stivali per simulare l’effetto sporco, impermeabile vero lurido ma senza neppure un buchino, parrucchino di capelli fetidi sotto berrettaccio da baseball dei New Orleans Zephyrs (anche i barboni hanno il dovere di essere campanilisti). Bottiglie e lattine vuote tintinnano nel carrello, la rendita del barbone. E poi qualche bottiglia molotov e delle lattine piene di esplosivo mescolate nel mucchio, la rendita del Punitore.

Prima regola di ogni missione: conosci il territorio. E quello che vedevo mi piaceva. Certo, piaceva anche ai federali che si spacciavano per bravi vicini di casa, altre identità rubate. La strada era praticamente una spianata, e con la scusa della paura dei ladri, i ‘vicini’ potevano starsene in casa a giocare alle spie 25 ore al giorno senza destare sospetti. Notare le auto parcheggiate in modo da essere pronte a correre appena fosse arrivato un portoghese a questa festicciola. Insomma, nessuna speranza di un blitz, a meno di essere un super.

Che mondò sarà, se hai bisogno di chiamare Superman! Nah, va bene che c’è la crisi globale, ma un supermercenario è un rischio accettabile solo se proprio non ne puoi fare a meno. Troppe variabili in campo, incluso il coefficiente karma: quando arrivava un supercattivo, in un modo o nell’altro appariva un supereroe, punto. Comunque, si creano troppi strascichi sui mandanti, troppe indagini.

Seconda regola di ogni missione: non avere fretta. L’adrenalina si fa partire solo quando si è pronti a spiccare il balzo sulla preda. E Raymond Mayfield vale la pena di attendere: un capozona del Maggia di New Orleans, avendo perso tutti i suoi beni a causa di Kathrina, ricercato per una lista di reati che vi risparmio per pura pietà, ha deciso di trascinare i suoi ‘colleghi’ a fondo con lui. Essì, e poi dicono dell’onore dei ladri: il Maggia crede molto nel darwinismo, i deboli affondano e i loro resti vengono spartiti fra gli altri membri del branco. Senza l’FBI, Mayfield è un uomo morto. Il processo sarà rigorosamente a porte chiuse, ma non importa: ‘Chip mi farà avere una copia della lista dei nuovi bersagli.

Mi chiedo se Raymond abbia pensato anche a me. Dovrò chiederglielo; mi sentirei offeso se avesse pensato che i suoi vecchi amici siano il suo solo problema. Insomma, sono stato lontano dalle scene per un po’, non voglio viziarli troppo, i miei amici.

 

Circa due ore dopo, torno alla mia ‘casa’: i resti di una drogheria appartenuta ad un tale Otis & Figlio. Otis & Figlio sono sepolti in un comodo cimitero dopo essere stati sepolti dall’acqua nella loro cantina per quasi un mese. Qui ci costruiranno un Moonbuck, credo. Eau de Cadaverina, miscela speciale per il vostro espresso!

Chiusa la porta, mi tolgo l’impermeabile. Lo strato sottile di sapone in polvere non è stato alterato da impronte indesiderate. Mi dirigo verso la cantina.

La puzza di muffa, umido e morte non è peggiore di quanto ho dovuto sentire prima e dopo essere diventato il Punitore. Mi muovo al buio, ho imparato a memoria ogni angolo dell’ambiente. Mi avvicino alla cassa contenente le provviste –lattine e bottiglie di plastica. Mi chino a prenderne una di ognuna…

E lo sento.

Si muove nell’ombra, come parte dell’ombra egli stesso. La sua sola presenza ammorba l’aria come una peste innominabile, stimola i sentimenti più negativi, i terrori più oscuri. Ma non c’è terrore che non abbia imparato a controllare. I suoi trucchi hanno funzionato una volta, ed è stata una volta di troppo. “Cosa vuoi, ancora, Mefisto?”

Due fuochi si accendono alle mie spalle. I suoi occhi, immagino: il diavolo vive di trucchetti. “Che modo sgarbato di accogliere un benefattore, Frank.”

“Infatti, sto ancora cercando un modo di ricompensarti per avermi regalato un periodo di illusioni e follie.”

Mefisto ride, un sinistro suono chiocciante che è come il suono di teschi che rotolano sulla rupe della Gehenna. “Sai come si dice, no? ‘Servire sorridendo’. E dopo tutte le anime che mi hai procurato, mi sembrava giusto ricompensarti ridandoti una famiglia. Ammetto di essermi un po’ lasciato andare con la storia degli angeli, ma una buona finzione richiede una coreografia sfarzosa.”

“Primo, non sono il tuo fattorino. Secondo, se dovrò andare all’inferno per quello che sto facendo, farai meglio a tenermi in un girone lontano da te.”

Di nuovo quel verso. Mi appello alla razionalità, che mi dice che svuotare un intero caricatore su quella cosa non servirebbe a niente se non a rischiare di farmi scoprire. “Mi sembra che ci siamo detti tutto quello che c’era da dirsi.”

La sua mano del colore del sangue mi tocca la spalla, trasmette un gelo mostruoso in ogni osso. Serro i denti. La sua voce al mio orecchio porta con sé un fetore abominevole, velenoso. Per contro, il suo tono è, in un perverso modo, seducente come quello di una donna da sogno. “Mi piace quando qualcuno mi sfida, Frank. Sono coloro che per primi mi serviranno volontariamente, al momento giusto. Stai tranquillo, non intendo interferire ulteriormente nella tua crociata, ma ti terrò d’occhio, per quando volessi ripensarci…” La sua voce è una interminabile dissolvenza. Quando so che è scomparso, mi costringo a non urlare. Mi tengo tutto dentro, preziose energie per alimentare la mia determinazione.

Tornando di sopra, spero che Raymond Mayfield sia scortato da qualche suo tirapiedi, magari un federale o due belli corrotti di cui il mondo potrà fare a meno.

 

Il giorno dopo, quasi mi sorprende di non vedere neppure una misura straordinaria a difendere l’imputato, che viene scortato in bella vista dai suoi angeli custodi. Del resto, l’area davanti al palazzo di giustizia è praticamente vuota. I punti chiave sono presidiati dai cecchini della polizia. Se vogliono sparare a Mayfield, o lo fanno ora, o…

Il bastardo e i suoi angeli sono dentro. Adesso, devo solo sperare che ‘Chip mi abbia dato gli strumenti giusti per superare i controlli all’ingresso.

 

Con dieci minuti di distacco dal mio amico George, e travestito come un grigio burocrate, inclusi dei fastidiosi occhiali ed un pessimo dopobarba, entro dalla porta principale. Il metal detector non mi preoccupa, non quando porto armi fatte interamente di plastica e fibra di carbonio sotto gli abiti. Modelli leggeri, ma utili in caso di problemi. La cartella che porto sottobraccio contiene solo carte. Ma la tessera… Ecco, fosse stato il vecchio Linus a farmela, mi sarei fidato ad occhi chiusi, ma questo ragazzo ha troppo entusiasmo e temo poca capacità di concentrarsi sui dettagli…

Luce verde. Un problema in meno. La guardia mi mostra un sorriso di circostanza e mi restituisce la tessera intestata a Bruce Kent, avvocato difensore. Una rapida stampigliata sulla tastiera, e la stampante tira fuori un badge per l’ennesimo visitatore.

Non ho problemi ad orientarmi. Come ho già detto, prima regola di ogni missione: conosci il territorio.

 

Dopo essermi mosso in un dedalo di corridoi, passo vicino ad un’aula la cui porta è stazionata da due poliziotti rigidi come sentinelle militari. Fossi stato un sig. Jones qualunque, non ci avrei fatto neppure caso –in fondo, sono poliziotti, giusto? Sbagliato: un professionista le nota le piccole cose come i cavetti degli auricolari che spuntano dai colletti. E le fondine: belle, lucide, nuove…e adatte per un calibro che la polizia non usa.

Potrei sistemare questi ragazzini, ma passo oltre. Se loro sono qui, e le acque sono ancora calme, allora tutto va bene…

“Posso aiutarla?”

Credo che un dente mi sia appena esploso per la forza con cui li ho serrati. Di sicuro fa male. Mi volto verso il proprietario della voce, con calma. “Chiedo scusa?” Un usciere, dannazione!

L’uomo mi guarda con indagatrice curiosità. Il suo sorriso non ingannerebbe nessuno. “Non ho potuto fare a meno di notarla, signor…Kent. È la sua prima volta, qui?”

“A dire il vero, sì.” Sorrido amabilmente, come dovrebbe fare un provincialotto alla sua prima causa nella grande città. “Il mio cliente deve tenere un’udienza fra pochi minuti, presiederà il Giudice Crane.”

La guardia scuote la testa. “Lei è fortunato che il Giudice sia famoso per i suoi ritardi accademici, oltre che per la sua severità. Prego, mi segua: arriveremo in un minuto alla sua aula, con l’ascensore.” Indica la cabina aperta proprio lì vicino.

“Ma che fortuna…”

Mentre entriamo, la guardia mi chiede, “E chi è il suo cliente, se mi è permesso di chiederlo?”

Il campanello squilla sulla mia risposta. “Un tale Bush. A proposito, anche lei è nuovo di qui?”

Le porte si riaprono un attimo dopo. La ‘guardia’ è a terra, ed io mi sto sbottonando la giacca, rivelando il costume nero con il teschio bianco.

Il solo modo per ingannare quei federali travestiti è di fare passare qualcuno a sua volta ben travestito, e chi meglio di un usciere, che ha libero accesso all’aula? Peccato che gli uscieri non siano soliti scorrazzare lungo i corridoi di un tribunale, lavoro dei poliziotti. Davvero, questi giovanotti dovrebbero sceglierseli meglio, all’accademia! “Chip, piano B!”

A questo puto, sto rischiando il tutto per tutto, ma quanto è vero che se vuoi uccidere bene qualcuno, devi farlo insieme ad un complice…

Gli spari mi precedono ad un soffio dall’ingresso all’aula! Estraggo le pistole dalla giacca e mi getto dentro con un tuffo.

 

Dentro, ho appena un secondo per valutare la situazione. E non è così tragica: il complice del falso usciere ha la pistola puntata su Mayfield. Il mio amico speciale è pallido da paura, e sangue gli cola da una ferita alla spalla, ma per il resto sta bene. Il sicario è in ginocchio, la pistola ancora puntata, e un bel paio di buchi nella schiena. Lui non mi darà problemi, ma maledizione, devo prendermela proprio con questi ragazzi?

Sono loro a decidere per me, nel momento in cui mi puntano le pistole addosso. Sì, sono decisamente sorpresi, come chiunque altro: è arrivato il castigamatti, signore e signori!

Sparo due colpi, uno per ogni piede. Tendini e ossa partono per il  paradiso dell’ortopedia. Meno felici sono i loro proprietari, che cadono gridando, concentrati solo sul tremendo dolore. Il Giudice Winslow, lo stuolo degli avvocati e la stenografa, finalmente realizzano il casino e si gettano a terra.

Io mi avvicino allo scranno dei testimoni. Mayfield, reggendosi la spalla, con la ferita che sporca senza dignità il suo costoso abito italiano, mi guarda come se fossi il babau uscito dritto dal suo armadio. “Il Pu… Il Puni…”

“Farai prima a dirmelo quando parleremo a quattrocchi.” Gli mollo un pugno al plesso solare. Lui si accascia senza problemi contro la mia spalla. Lo prendo al volo come un quarto di bue, poi prendo una granata dalla cintura e la getto verso l’ingresso. “Tenete il fiato, signori!” grido, un attimo prima che la granata esploda in una nuvola nera e fitta.

Fra i primi colpi di tosse, punto la mia pistola verso la vetrata e sparo. Un paio di colpi, e la finestra si dissolve in una pioggia di frammenti.

Salto nel mezzo di quella tagliente cascata.

 

Un proiettile dai cecchini della polizia sfiora il mio amico, e prima che gli altri possano prendere bene la mira, la mia caduta mi porta verso il tettuccio aperto di un furgone bianco.

 

Atterro su una rete elastica. Ne scendo subito e vi deposito Raymond, mentre Chip fa manovra e parte come una scheggia. Proiettili scoppiettano come popcorn sulla fiancata ed il parabrezza. Poi tocca al coro delle sirene dei tutori della legge.

“Senti quanti! Sempre a fare casino, tu, eh?” si muove agevolmente nel parcheggio, travolge  un’auto blu. Sfonda il guard-rail, ed entra sulla strada. A quel punto, va a tavoletta. Chip vive di tre elementi: il cibo spazzatura, la tecnologia e la velocità. Un vero figlio dei nostri tempi. Uno che potrebbe quasi essere mio nipote, con i suoi venticinque anni e rotti. Ma gli devo la vita e un mucchio di gadget, e in tali casi non vado per il sottile.

“Sai che mi piace essere il cuore delle feste,” gli rispondo, mentre mi appresto a curare Mayfield. Gli strappo via la giacca, e lui grugnisce. Tranquillo, bello: se potrò, te ne farò avere una nuova per la tua sepoltura.

“Sicari?”

“Un paio, roba facile. Anche loro volevano tenere un basso profilo, mentre il sosia giocava a L.A. nel ‘processo del secolo’.” Sì, i federali se l’erano giocata bene, usando tanti di quegli specchietti per le allodole da estinguere la specie, mentre il mio amico veniva spremuto a debita distanza e in tutta tranquillità… “Riesci a seminarli?”

“Tranquillo, Puni: mi basta solo arrivare al rettilineo… Ha!” schiaccia un pulsante sul volante. “Tieniti, amico, che si vaaa!” conclude con un trionfale tono baritonale che non ti saresti aspettato. Subito dopo, il motore del furgone va su di giri e per un momento penso al ronzio di un’astronave di un telefilm che vedevo da ragazzino. L’odometro digitale schizza fulmineo fino a valori degni della Formula 1. Le sirene della polizia si perdono in distanza.

Dopo un paio di minnuti, torniamo alla velocità di crociera. “Oltre non posso andare,” mi dice Chip. “Ci sono le curve, e alla velocità di prima tanto varrebbe scrivere subito testamento.” Si passa la mano su una ciocca lunga che gli pende sulla fronte, un suo tic.

“Peccato,” dico io, guardando dal finestrino. “Ci avrebbe fatto comodo.”

Gli elicotteri blu sembrano spuntare dalle cime stesse degli alberi, due grossi mosconi arrabbiati.

Chip non ne è turbato. “Tutto lì? Trovi l’insetticida nell’ultimo cassetto a destra, tesoro.”

Avremmo dovuto fare quattro chiacchiere sulla sua eccessiva familiarità, ma per ora mi limito ad aprire il cassetto in questione. Ne estraggo una specie di doppietta modificata per ospitare un paio di bobine di rame, e un piccolo arpione inserito in ogni canna.

“Un colpo un centro, mi raccomando,” dice Chip. “Devi solo prenderli in prossimità del gruppo motore, e dovranno scendere che gli piaccia o no.”

Osservo la bobina. “Lunghezza del cavo?”

“Duecento metri.”

“Allora rallenta.”

La manovra ha l’effetto sperato: al momento, i mosconi sono i soli mezzi con una speranza di catturarci. Uno si piazza dietro di noi, l’altro davanti. Sanno che siamo corazzati, e si preparano a colpire il parabrezza, il solo punto debole.

È a questo punto che apro la portiera. Punto il fucile e faccio fuoco. So esattamente dove colpire, e la fiocina fa il suo dovere infilandosi in prossimità del gruppo elettrogeno.

Niente esplosioni, niente effetti speciali. Sento solo ronzare il fucile, e un attimo dopo il motore dell’elicottero comincia a gemere come un animale ferito. Poi inizia a perdere quota, i giri delle pale ridotti sempre di più. Torno dentro mentre l’apparecchio precipita fra gli alberi.

Se Chip avesse una cresta, ci sfonderebbe il tettuccio. “Un taser per i motori. Forte, eh?”

Contemplai l’arma. “Utile.”

L’altro elicottero va ad atterrare vicino all’apparecchio caduto. Viva il cameratismo.

 

Quartier generale dell’FBI, Quantico, Virginia

 

“Signori, posso capire che il Maggia potesse in qualche modo risalire alla vera locazione del processo. Lo so che vi sembra un atto di sfiducia, da parte mia, parlare così, ma lo avevamo messo in conto. Infatti, la buona notizia è che il killer è stato freddato prima che potesse sparare più di un colpo (ed è stato un colpo davvero di troppo). Ma…il Punitore?”  Alex Cabot era un veterano, aveva sventato complotti, era passato su parecchie leggi per arrestare i nemici del suo paese, e ne era sempre uscito pulito, era sopravvissuto ad almeno un paio di agguati e tre sparatorie e aveva le cicatrici per provarlo. Alex Cabot era arrivato a un anno dal pensionamento, e vedersi il curriculum macchiato da un così eclatante fallimento era…insopportabile. “IL PUNITORE!?” Non ebbe bisogno di agitare i pugni o di sbatterli sul tavolo. Bastò il tuono della sua voce a fare temere ai presenti per la loro pensione. C’erano diversi Cabot nell’FBI, ma uno solo era e poteva chiamarsi ‘Killer’ Cabot. E adesso era tempo di mietere teste. “Non so cosa sia peggio: che quello psicopatico sia entrato in un tribunale, preso il nostro uomo e fuggito senza che vi fosse una resistenza degna di tal nome, o che abbia seminato 100 uomini altrettanto facilmente! Voglio che mi troviate ogni informazione, ogni straccio di dato sul suo nuovo complice! Entro domani voglio qualcosa, o dopo dovrete giustificarvi davanti a Dio Onnipotente in persona!” Si mise seduto. Quanto a Mayfield, non si faceva illusioni: Castle lo avrebbe spremuto fino ad ottenere ogni minimo dettaglio, prima di ucciderlo. E Castle sapeva bene come fare cantare anche i sassi… Se solo avesse deciso di lavorare per noi!

 

Niente di meglio della buona, vecchia secchiata d’acqua per aiutare un timido a riprendersi. E poi, vuoi mettere il piacere di vederli annaspare come pesci fuor d’acqua, ancora sospesi fra il piccolo choc e quello grande, quando capiscono di essere finiti nella merda?

“Il signore ha dormito bene?” gli chiedo, chino su di lui. Intorno a noi ci sono le spesse pareti in tronco di un capanno abbandonato da tempo, senza finestre. La sola luce viene da una candela in un angolo.

Raramente ho visto un’espressione così rassegnata in un uomo. “Senti, Punitore, guarda che se volevi sentirmi cantare, ti sarebbe bastato mettere un microfono nell’aula. Ti dirò quello che vuoi sapere, come lo avrei detto ai federali, se mi lasci vi*” è anche un piacere quel versetto stridulo che emettono quando punto un K-Bar alla loro gola.

“Così mi offendi, però: lo sai che io non sono un credulone come i federali. Lo sai che io so. So che sei un tipo ambizioso, Raymond, so che nel Maggia hai passato anno dopo anno ad accumulare informazioni, conoscenze e soldi per preparare la tua piccola rivolta contro il gran capo in persona e sua figlia. Ti capisco: il Conte Nefaria e Madame Masque sono un po’ troppo conflittuali con i super, e questo attira attenzioni indesiderate da parte loro. Vi state preparando in tanti a questo colpo di mano, ma tu sei il solo che Kathrina abbia mandato in rovina. Di’ la verità, ai federali avresti dato quello che bastava per qualche bel colpo contro gli amici dei tempi belli, e allo SHIELD avresti dato il resto e bingo! Un buon ritiro di gran lusso servito su un piatto d’oro. Ci ho azzeccato?”

“Solo fino alla parte dello SHIELD,” mi risponde lui. “Ci sono altre organizzazioni che neanche conosci che farebbero un ottimo uso delle informazioni che possiedo.”

“Errore: che io possiedo. A te basta solo dirmi dove trovarle, e saremo tutti felici.”

“Tutti tranne me.” Mi guarda sempre con quell’espressione rassegnata. “Lo sappiamo cosa fai ai criminali, Punitore.”

Annuisco. “È vero. Ma sai anche cosa faccio a loro, prima?” Credo che abbia visto le parole inespresse nei miei occhi, perché i suoi gli diventano grandi grandi, come quelli di Bambi prima del cacciatore. Guarda il coltello come se fosse una cosa viva. Deglutisce.

Gli mostro un sorriso che spero consideri rassicurante. “Vista l’importanza di quei dati, voglio essere generoso: non ti torcerò nemmeno un capello, se sarai assolutamente sincero. E tu sai che a quelli come te non faccio simili promesse tanto facilmente.”

Gli ci vuole un minuto o due per decidersi, lo capisco e non lo presso ulteriormente. Alla fine, si permette un sorriso pieno di speranza. “Sono custoditi in internet. Dati altamente cifrati. Ho speso giorni per imparare il modo per accedervi, e una volta aperti i file avete un’ora per scaricarli prima che si autodistruggano. Ci vogliono macchine potenti per fare questo lavoro. E ricorda, devi operare nella esatta sequenza che ti sto per dare, o l’autodistruzione partirà comunque.”

“Sono tutt’orecchi. Amico.” E lui parla, parla per quasi mezz’ora, sciorinando una cacofonia di URL, dati di login e di ISP che per me potrebbero appartenere alla lingua marziana. Quando finisce, parlo attraverso il microfono sottocutaneo nascosto nella gola. “Tutto chiaro, Chip?”

“Con questi dati, balleremo il rock del diavolo, capo!”

Spero che fosse un sì. Mi alzo in piedi, e prendo un secondo secchio pieno d’acqua che sta in un angolo. E lo svuoto contro il mio caro, caro amico Raymond. Non in faccia, ma in modo che si bagni per bene il resto.

“Maccheccazzo?? Insomma, cos’altro vuoi da me? Ti ho detto tutto, di più non so!”

In risposta, dalla cintura prendo un bengala. Raymond segue il mio sguardo verso il mucchio di sterpaglie e legna che corre lungo i lati del capanno. “Mi avevi promesso…”

“Che io non ti avrei torto un capello; il fuoco non sarà altrettanto gentile. Vedi, Raymond, tu hai fatto tanto male a tanti innocenti, dai bambini alle prostitute per i tuoi affari nel porno. Hai organizzato combattimenti clandestini di cani. Hai venduto farmaci scaduti al terzo mondo… Non sei stato un bravo ragazzo, Raymond. E io non ho scelto di chiamarmi Punitore per lasciare vivi quelli come te. A proposito, ti ho infradiciato perché tu non bruci subito; durerai qualche minuto in più, il tempo di maledire il giorno in cui hai fatto la tua prima vittima. Goditelo.” Spezzò il bengala e lo getto fra la legna. Prende subito fuoco che è un piacere. Raymond inizia ad urlare, ad imprecare, ad agitarsi contro le catene.

 

Quando raggiungo il furgone, ben parcheggiato dentro un vecchio fienile, il capanno sta bruciando che è un piacere. ‘Chip mi sembra nervoso, mentre fissa il rogo, ma è ancora giovane, si abituerà.

“Comincia a lavorare su quei dati, ragazzo: abbiamo parecchio lavoro che ci aspetta.”

 

 

NOTA DELL’AUTORE: E comincia qui la mia gestione del Punitore dopo la lunga assenza del collega Pablo dalle scene. Mi rendo conto di essere stato un po’ sbrigativo nella risoluzione di una parte della vecchia gestione, ma personalmente preferisco il nostro Castle in versione più ‘classica’. Le altre trame sospese, come quella del Cecchino, verranno risolte a tempo debito. Per ora, accontentavi l’introduzione di un nuovo Microchip al posto del vecchio Linus. E per il resto, che dire? Sperem!